Camminando a testa scalza
Dalila ha ventun anni quando la prima chiazza glabra fa capolino sul suo cuoio capelluto.
In quel momento non lo sa ancora, ma sono le prime avvisaglie della sua malattia: l’alopecia areata, una patologia autoimmune che causa l’improvvisa perdita, totale o parziale, dei capelli e della peluria del corpo.
La situazione, fortunatamente, si risolve in fretta, poiché la malattia si manifesta in forma molto leggera. Passano undici anni e Dalila è poco più che trentenne quando l’alopecia areata si ripresenta, stavolta più aggressiva che mai. Per Dalila è l’inizio di una vita nuova, diversa da quella precedente. Si tratta del primo passo di un difficile cammino di scoperta e accettazione della patologia.
Questo viaggio la porta a scrivere il piccolo volume intitolato “Camminando a Testa Scalza“ nel quale dà voce al vissuto traumatico, alle emozioni e ai desideri di tutti coloro che, come lei, sono affetti da questa patologia.
Bruna Murgia –
Help me I help you!?
Potrebbe essere questo il sottotitolo di “Camminando a Testa scalza” l’opera di Dalila Giglio in cui ci racconta la sua esperienza di alopecia areata.
Dalila non segue una trama biografica a cui potrebbe fare riferimento; lei inizia il suo racconto del qui oggi: il giorno in cui non ha più i capelli. Un viaggio interiore che si concretizza nella visualizzazione di sé allo specchio che rinvia al momento in cui realizza che la sua è una malattia con la quale si può convivere. Ma questo non basta a dare un senso al disagio che sta vivendo. l’autrice ha bisogno di raccontarlo a se stessa e agli altri. “Solo attraverso la scrittura la mia alopecia areata sembrava acquistare un senso”.
Dalila ha consapevolezza di quanto può diventare escludente una società come la nostra, che enfatizza l’aspetto fisico della persona e mette in ombra ogni altra sua qualità. E al lettore non sfugge la sua determinazione a mettere in risalto tutto ciò che può aiutare se stessa e l’altro, accomunati nelle diverse esperienza di sofferenza.
La testimonianza quotidiana sullo scenario che le si para difronte: dagli stereotipi verbali a quelli comportamenti, ivi compresi gli sguardi silenti, ma talmente eloquenti da non poter essere ignorati; si insinua nel pensiero del lettore e ne diventa oggetto di riflessione.
L’autrice impara dal suo essere qui oggi – ogni giorno – e ci restituisce il valore della sua esperienza mediante le indicazioni più idonee da seguire, quando incontriamo persone senza capelli: proprio perché non ne conosciamo la ragione sottesa. Indicazioni preziose perché “La bellezza sta nel guardare con benevolenza alla disarmonia che ci caratterizza” tutti. È così che nasce l’amore per se stessi, anche dall’essere diventati così esteticamente diversi da ciò che siamo stati che passa attraverso la sofferenza, nell’osservare quelle immagini che “ritraggono una persona che non c’è più”.
Nel divenire del racconto s’intravvede un sottile filo rosso che si inserisce nelle conclusioni alla quale l’autrice perviene, che non potevano non passare da una domanda: “L’alopecia areata ti cambia la vita? Sì e no”, per tutti i motivi che lei ci fornisce, che qui riporto in sintesi.
“No, perché non è come perdere un arto o […]. Può condurre a un’esistenza pressappoco identica a quella che conducevi prima solo che […]. Comporta certo qualche disagio […].
L’autrice chiude il suo racconto con un delicato sotteso invito a non trascurare l’importanza dell’impatto della malattia, di qualsiasi natura essa sia, nella quotidianità delle persone.
È questa l’essenza che, da lettrice qualsiasi, ho colto nel testo di Dalila Giglio a cui vanno i miei ringraziamenti più sinceri: per aver assecondato la sua volontà di mettere a disposizione la sua esperienza di “testa scalza” e per aver intrapreso – nonostante la sua timidezza – un cammino di divulgazione e conoscenza di una malattia subdola e ancora poco conosciuta.
Bruna Murgia, Torino 30 giugno 2023.
Una ragazza in provincia –
Dalila ci porta nella sua esperienza e grazie alle sue parole riesce a comunicare tutte le emozioni e le sensazioni fisiche provate nelle varie fasi della sua patologia senza tralasciare l’impatto psicologico che ne consegue.
Il libro è breve, coinciso e diretto.
Si legge facilmente ed è un’immersione totale nella conoscenza dei Volpini.
Il termine Volpi è utilizzato per indicare le persone affette da Alopecia, proprio come la nostra protagonista.
Questa non vuole essere un’ autobiografia ma ha il solo scopo di rendere consapevoli Volpini e Non.
Mi ha particolarmente colpito la consapevolezza da parte di Dalila anche dei suoi limiti e ammiro come sia sempre decisa a superarli per vivere meglio con gli altri e con sé stessa.
Il rapporto con il marito merita una menzione d’ onore, un uomo come pochi.
Ci sarebbe davvero tanto da dire, soprattutto su una malattia come questa di cui sappiamo davvero poco, per questo ho molto apprezzato la prefazione scritta dal Dr. Enrico Rizza, Direttore Scientifico di A.N.A.A.